Catania 1980. Nella Milano del Sud il clan di Nitto Santapaola la fa da padrone e Cosa nostra si intreccia con le istituzioni in un gioco di potere fatto di morti ammazzati, grandi opere, corruzione e fiumi di denaro. In questa terra meravigliosa e maledetta, vive e lavora un giornalista, Giuseppe Fava, che racconta la verità senza tralasciare alcun particolare. Amori, morte, disperazione e bellezza nelle parole di "Pippo" che diventa il pericolo da abbattere a tutti i costi.
Dalla pittura, ai racconti, alle opere teatrali, tutto di Pippo Fava è pieno dell'amore per la sua terra. E proprio dopo un anno dall'uscita de I Siciliani, il mensile di denuncia che ha fatto storia nella lotta per la libertà di informazione, il giornalista verrà ucciso con cinque proiettili sparati a sangue freddo da spietati killer che il 5 gennaio del 1984 decisero di soffocare con le armi la voce di colui che non sarebbero mai riusciti a far tacere.
Il fumetto narra l'esperienza di un uomo che affronta a viso aperto, e con la sola forza delle parole, un sistema che nessun altro ebbe il coraggio di denunciare. Nel 1981 Pippo Fava scriveva: "A coloro che stavano intanati, senza il coraggio di impedire la sopraffazione e la violenza, qualcuno disse: 'Il giorno in cui toccherà a voi non riuscirete più a fuggire, né la vostra voce sarà così alta che qualcuno possa venire a salvarvi!".
Per le strade di Castellammare di Stabia e Torre Annunziata una Mehari verde non passa di certo inosservata. Un ragazzo sorridente e tutto d'un pezzo affronta così le sue giornate da cronista e corrispondente precario del Mattino di Napoli: andando in giro a cercare notizie da scrivere senza paura. La camorra, Giancarlo Siani, la guarda dritta negli occhi mentre ne racconta traffici e violenze. Non tace nulla di ciò che vede: dal fiume di denaro per la ricostruzione dopo il terremoto in Irpinia, alle lotte degli operai in cerca di diritti.
Non tralascia alcun particolare, men che meno i nomi di Valentino ed Ernesto Gionta, Lorenzo e Angelo Nuvoletta, Antonio Bardellino. Proprio in un momento in cui la guerra di camorra fa decine di morti ammazzati per le strade dell'hinterland napoletano. Nomi e cognomi che gli costano la condanna a morte.
Il 23 settembre del 1985 Giancarlo Siani viene ucciso mentre è a bordo della sua "strana" auto verde, dopo quattro giorni dal suo ventiseiesimo compleanno. Dodici anni di processo si concludono con la condanna di mandanti ed esecutori. E la sua fine diventa il simbolo di un giornalismo fatto di etica e passione. Per la vita come per la giustizia.
"E lui che mi sorride". Così il fratello Paolo ricorda Giancarlo mentre partecipa a un corteo con il simbolo della pace dipinto sul volto. Un segno che assieme a quelli di questo fumetto racchiude i sogni e le speranze di un popolo.
Un romanzo a fumetti che racconta la tragica vicenda di Lollò Cartisano, fotografo di Bovalino sequestrato e ucciso dalla 'ndrangheta. Un libro che attraverso il viaggio di un insolito protagonista di fantasia, il reporter Gino Durante, ripercorre gli itinerari e le strade che portano alla montagna di Pietracappa. Uno dei luoghi più suggestivi di tutta la Calabria, un luogo che Cartisano amava fotografare da tutte le angolature. La stessa montagna dove il suo corpo venne ritrovato dopo sedici anni di ricerche. Un viaggio all'interno di una terra dove le cosche condizionano ogni cosa e c'è chi ha deciso di resistere. Un racconto veloce, a tratti ironico e tragico al tempo stesso, dove la cronaca e le sensazioni più profonde dell'animo umano s'intrecciano. Una serie di flashback ripercorrono l'intera tragedia del rapimento: il sequestro, la mobilitazione e la nascita del comitato "Bovalino libera", l'arrivo del capo della polizia Vincenzo Parisi, gli appelli di Giovanni Paolo II per chiedere la liberazione dei sequestrati fino al ritrovamento del corpo. Una storia che tocca il cuore. Una delle vicende più tristi della storia del nostro paese.
Non c'è un colpevole. Non ancora. Non c'è una sentenza. C'è un intrigo. Anzi, più di uno. E c'è una vittima: Natale De Grazia. Ufficiale della Capitaneria di porto di Reggio Calabria. De Grazia è morto nella notte tra il 12 e il 13 dicembre 1995. Ufficialmente, per un attacco cardiaco. Aveva 38 anni ed era in ottima salute. Faceva parte del pool che indagava sulle navi a perdere, le carrette del mare che la 'ndrangheta ha affondato con i loro carichi di veleni fatti di scorie, rifiuti tossici e materiale nucleare. Dal sud al nord Italia, fino ai porti più bui e lontani del Mediterraneo, il maestrale che imperversa porta storie fatte di mafia, faccendieri senza scrupoli e politici corrotti, in una strana battaglia navale dove ad affondare realmente sono i carichi, non i natanti. Una guerra strana, dove non ci sono nemici da combattere. La nave che vince è quella che "si suicida" scomparendo nel blu profondo. Per sempre e senza lasciare traccia... almeno nelle intenzioni. De Grazia seguiva una pista. Lo aveva portato a sfiorare altri intrighi, come la morte in Somalia della giornalista Rai Ilaria Alpi e del suo operatore Miran Hrovatin, e il ruolo di un faccendiere, in odore di P2, capace di muoversi tra governi e armatori internazionali. A quindici anni di distanza da quella notte, questa è ancora l'unica pista. Purtroppo sempre meno battuta.
"Non sono pazzo, non mi piace pagare. Io non divido le mie scelte con i mafiosi". È l'11 aprile 1991 e in diretta tv Libero Grassi, industriale tessile proprietario della Sigma di Palermo, racconta la sua vicenda d'imprenditore che rifiuta di pagare il pizzo alla mafia. Il caso varca i confini della Sicilia e diventa di dominio nazionale.Il 29 agosto alle 7.30 muore in un agguato per mano di Salvo Madonia, figlio del boss del quartiere San Lorenzo. Lo ammazza perché può essere un "cattivo esempio" per gli altri commercianti. Potrebbero alzare la testa anche loro. Libero Grassi quella mattina di vent'anni fa viene ucciso due volte: da Cosa nostra e dall'indifferenza dei suoi colleghi imprenditori. Lo hanno lasciato solo e sopportato con fastidio.Poi arriva il 1992, con le stragi di Capaci e via D'Amelio. L'indignazione popolare divampa. Per un po' la reazione sembra sopita ma gradualmente i commercianti palermitani escono dall'angolo, si alleano e seguendo l'esempio di Libero Grassi denunciano gli estortori. Nasce Addio Pizzo e poi l'associazione antiracket Libero Futuro. Ci sono i processi e le condanne. La strada è in salita, ma ormai non si può più tornare indietro.Il seme della ribellione di Libero Grassi è germogliato. Perché se "un popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità", un popolo che ritrova la sua dignità è più forte di qualsiasi mafia.
Palermo, luglio 1992. Sono i giorni della strage di via D'Amelio. "È finito tutto" dice uno scosso Antonino Caponnetto a un giornalista, uscendo dall'obitorio dopo l'ultimo saluto a Paolo Borsellino. Il giudice in pensione, padre del pool antimafia, è l'ambasciatore di un'Italia che non ha più uomini presentabili. "Chi ci difende ora? Dov'è lo Stato?", gli chiedono le persone. Le stesse domande sentite due mesi prima in occasione della morte di Giovanni Falcone.
L'ex Capo Ufficio Istruzione è il simbolo di una città, di un Paese, che si rialza dall'ennesimo schiaffo. Il rammarico per quella frase detta in un momento di sconforto è un motivo in più per farsi coraggio, per riprendere le forze e la speranza, e lavorare sul cambiamento culturale e sulla lotta alla mafia. È l'inizio della primavera palermitana. Nella sua "preghiera laica", al funerale di Borsellino, c'è il progetto dei dieci anni seguenti: Caponnetto diventa il primo rappresentante della società civile, gira l'Italia per testimoniare nelle scuole la sua esperienza e portare avanti le idee dei magistrati uccisi dalla mafia.
Roberta Lanzino ha 19 anni, vive con la sua famiglia a Rende (provincia di Cosenza), è una studentessa universitaria al primo anno, studia Scienze economiche, è bella e ha un Sì della Piaggio di colore blu. È il 26 luglio del 1988 e Roberta, proprio con il suo motorino, va verso la casa al mare. I suoi genitori Franco e Matilde sarebbero partiti pochi minuti dopo a bordo della "Giulietta" di famiglia. Roberta quella mattina indossa dei jeans blu, una maglietta rosa salmone e gli occhiali da sole. Per questioni di sicurezza Roberta imbocca una strada secondaria. Purtroppo perde l'orientamento, si smarrisce. Due uomini con una Fiat 131 le stanno alle calcagna e al momento giusto le tagliano la strada, la violentano, la colpiscono senza pietà al collo e alla testa con un coltello, conficcandole poi in gola una spallina per strozzare le urla. Muore soffocata, Roberta. Il suo corpo viene ritrovato alle 6.30 del mattino dopo. Le indagini partono subito ma la verità arriverà soltanto nel 2007. Questa è una storia di violenza, di morte, di 'ndrangheta.
Formato: 21 x 21 cm Pagine: 48 Colore: COLORE Caratteristiche:
Sempre controcorrente nuotando a testa alta sfidando il mare e i suoi pericoli alla conquista della perduta libertà. Libro illustrato a colori per bambini.
Formato: 21 x 21 cm Pagine: 32 Colore: Colore Caratteristiche:
La storia dell'Orso Bruno è un brano rap degli Assalti Frontali, contenuto nell'album "Profondo Rosso" del 2011. Al pari di altri pezzi come "Enea super rap" o "Il rap della Costituzione", fa parte di una serie di canzoni che Militant A ha scritto appositamente per i bambini. Disegnata con tratto molto fumettistico da S3Keno, è un libro illustrato dalle esplicite tematiche socio-ambientaliste e dai contenuti decisamente forti (compresa la morte del protagonista) ma d'altronde è la storia vera dell'Orso JJ1, nato nel parco Brenta-Adamello dall'accoppiamento di Jurka e Joze e abbattuto nel 2006 nell'area al confine fra Tirolo e Baviera dopo più di un mese in cui imperversò sulle montagne fra l'Austria e la Germania meridionale, perché ritenuto un pericolo per gli esseri umani. Bruno faceva parte di un ambizioso progetto italiano per la reintroduzione dell'orso bruno nelle Alpi centrali, e anche il WWF aveva continuato a tifare per lui: «Se in Trentino si dovessero abbattere tutti gli orsi che entrano nei pollai, questi animali sparirebbe rapidamente!»